Vi sarà certamente capitato, entrando in farmacia, di sentirvi rivolgere dal farmacista la fatidica domanda: “vuole il generico?”
Guardando le persone dal di là del bancone, talvolta ho l’impressione che qualcuno, magari abituato da anni a prendere sempre lo stesso farmaco, sia quasi infastidito dal sentirsi rivolgere questa domanda.
E’ lecito infatti chiedersi: “perché il farmacista mi propone il generico?”
La risposta è molto semplice; “perché la legge glielo impone”. La fatidica domanda di cui sopra, “vuole il generico?”, NON sorge spontanea. Il farmacista è OBBLIGATO per legge a proporre al paziente il farmaco che costa meno, a parità di posologia e dosaggio (articolo 11, comma 12, del decreto-legge n. 1/2012), ferma restando la libertà del paziente di scegliere il farmaco di marca pagando l’eventuale differenza di prezzo rispetto al generico.
L’intento dello stato, che paga il farmaco al cittadino, è ovviamente quello di risparmiare e per questo incoraggia il medico alla prescrizione e il cittadino alla scelta del farmaco più economico, il generico per l’appunto.
Che cosa è un farmaco “generico“?
Facciamo un passo indietro.
Ogni farmaco immesso in commercio proviene da un processo di ricerca che, nei suoi vari stadi, può durare anche decenni. Una volta scoperta una nuova molecola infatti bisogna fare prove di stabilità, efficacia, tollerabilità, valutare negli anni gli effetti collaterali ecc., col rischio che l’agognata commercializzazione non si raggiunga mai per i più disparati problemi che possono insorgere durante i tantissimi test. Quando tutte le “prove” sono state superate con successo, il nuovo farmaco può finalmente essere impiegato per curare i pazienti. L’azienda produttrice assegna al nuovo farmaco un nome commerciale (brand) più o meno di fantasia, che lo identifica inequivocabilmente.
Ovviamente le aziende farmaceutiche tutelano la loro ricerca coprendo il nuovo farmaco con un brevetto, che in genere dura 20 anni. Alla scadenza del brevetto anche altre aziende possono produrre quella molecola prima coperta da brevetto e immetterla in commercio con il solo nome del principio attivo, seguito o no dal nome dell’azienda (generici semibranded o unbranded).
Col termine “farmaco generico” allora si designa un’imitazione di un prodotto originale ormai privo di protezione brevettuale.
Ad esempio “Voltaren” è il nome commerciale (brand) che l’azienda produttrice assegnò a suo tempo al “Diclofenac”, ovvero alla molecola con attività farmacologica (principio attivo). Per 20 anni solo l’azienda depositaria del brevetto ha potuto commercializzare il Diclofenac, sotto il nome di “Voltaren”. Poiché adesso il brevetto è scaduto, tutte le aziende abilitate alla commercializzazione di generici possono vendere il principio attivo “Diclofenac”, ovviamente senza poterlo chiamare “Voltaren”, che rimane un nome di proprietà dell’azienda scopritrice, ma potendo usare il solo nome del principio attivo. Avremo quindi tantissimi “Diclofenac” in commercio, tanti quanti le aziende che lo producono. Ci sarà così il Diclofenac TEVA, il Diclofenac MYLAN, il Diclofenac DOC, il Diclofenac DOROM, il Diclofenac EG, ecc.ecc, oltre al “vecchio” Voltaren, che ovviamente rimane in commercio e che è definito “specialità” (per distinguerlo dal generico) o “farmaco originatore” (originator).
Alcune differenze fra generico e specialità
A questo punto davvero una domanda dovrebbe sorgere spontanea: “il generico è uguale alla specialità da cui si è originato?”
La risposta è sì. Ma la risposta è anche no.
Per capire bene è necessario fare un altro passetto indietro.
Quando assumiamo un farmaco, non assumiamo quasi mai il solo principio attivo. Molto più probabilmente (pressochè sempre) nella nostra compressa (o nello sciroppo o nella supposta o nella bustina o in qualsiasi altra “forma farmaceutica”) oltre al principio attivo sono presenti altre sostanze più o meno inattive – i cosiddetti “eccipienti” – che servono a far “stare insieme” la determinata forma farmaceutica o a renderne più agevole la somministrazione o a far sì che il principio attivo sia assorbito in un “distretto” piuttosto che in un altro o a tutte queste cose insieme.
Gli eccipienti
Il ruolo degli eccipienti è tutt’altro che marginale in quanto, sebbene siano inerti quantomeno nei confronti dell’azione terapeutica per cui si sta assumendo quel preciso medicinale, giocano un ruolo essenziale nell’assorbimento del principio attivo nel nostro organismo. In linea teorica quindi assumere la stessa quantità di un principio attivo in due diverse formulazioni non significa automaticamente assorbire la stessa quantità di farmaco e dunque non significa avere la stessa azione terapeutica.
Poiché la legge non si esprime sugli eccipienti, due aziende di generici possono produrre lo stesso principio attivo, con lo stesso dosaggio, la stessa forma farmaceutica e la stessa unità posologica impiegando eccipienti totalmente diversi, purchè siano rispettati i criteri di biodisponibilità (quantità totale assorbita di principio attivo[AUC], concentrazione massima nel sangue [Cmax], tempo necessario per raggiungere la Cmax [Tmax]), ovvero purchè i due farmaci possano esser definiti bioequivalenti. Semplificando un po’, si può dire che la legislazione sui generici stabilisce che possano essere considerati bioequivalenti due farmaci che abbiano la stessa biodisponibilità ± 20%.
Detto in altri termini, tra l’originale e un generico ci può essere una differenza di assorbimento del 20% in più o in meno; tra due generici di marche diverse, nella remota (remotissima) ipotesi che si stia passando da un generico che viene assorbito per il 20% in meno dell’originator ad un altro generico che viene assorbito per il 20% in più rispetto all’originator, questa differenza può addirittura arrivare al 40%.
Gli standard di qualità
Se questa è la teoria, nella pratica difficilmente ci si scosta di più del 5-7 % dall’originator; le aziende produttrici di generici infatti sono aziende farmacetutiche in tutto e per tutto, tenute a rispettare gli stessi standard qualitativi di ogni altra azienda farmaceutica. Inoltre è loro primario interesse far sì che il generico sia efficace tanto quanto la specialità. Nella stragrande maggioranza dei casi si può quindi tranquillamente ricorrere al farmaco generico senza alcun rischio di perdita di efficacia terapeutica. Nel caso di patologie croniche importanti o nel caso di farmaci con una stretta “finestra terapeutica”, può comunque essere utile chiedere il parere dello specialista prima di sostituire il farmaco originale di propria iniziativa, anche se la legge lo consente (e anzi obbliga il farmacista a proporre sempre il farmaco a minor costo).
Aspetti economici
Infine non sembra superfluo sottolineare qualche aspetto di carattere socio-economico.
Siamo abituati a pensare, spesso a ragione, che i colossi farmaceutici controllino il mondo del farmaco e che quindi la scelta del generico possa essere un modo per contrastare questa lobby e rendere il mercato più libero e concorrenziale. Se vi è del vero in questo, la realtà è però molto più complessa.
Innanzitutto, moltissime aziende produttrici di generici sono anch’esse multinazionali, e tra le più grandi del mondo. Una di queste addirittura, dopo una forte politica di acquisizioni, è diventata la seconda azienda farmaceutica del pianeta, con sedi (e siti produttivi…) in tutti i continenti!! Chi quindi pensasse, preferendo il generico, di non favorire le multinazionali, avrebbe chiaramente una visione molto limitata della questione.
Inoltre molte aziende farmaceutiche italiane di piccole e medie dimensioni (soltanto a Pisa ne abbiamo almeno 5; Guidotti, Abiogen, Gentili, Farmigea, Baldacci…) che danno lavoro a migliaia di professionisti e che sono spesso eccellenze a livello mondiale, risentono pesantemente della concorrenza delle multinazionali del generico, contro le quali è difficilissimo competere, con pesanti ricadute occupazionali e di indotto sul territorio. Talvolta peraltro non vi è nemmeno differenza di prezzo tra il generico e l’originator e quindi non si capisce perché bisognerebbe a priori scartare l’originale.
A ciò si aggiunga che spesso le aziende produttrici di generici NON fanno ricerca (quantomeno le aziende puramente genericiste) e il loro business deriva meramente dal copiare molecole già in commercio.
Ci si puo’ fidare?
Da quanto detto sopra, penso che si possa concludere mettendo in guardia da due atteggiamenti opposti e tuttavia entrambi molto diffusi.
Sicuramente sbaglia chi assolutamente diffida del generico, perché esso offre tutti gli standard qualitativi e di sicurezza del farmaco branded, e può essere scelto con tranquillità nella stragrande maggioranza dei casi.
Parimenti sbaglia chi ritiene il generico la migliore scelta sempre e comunque, perché il generico, come abbiamo visto, non è esattamente uguale alla specialità e in alcuni casi può essere addirittura espressamente sconsigliato dallo specialista.
Dr. Giandomenico Piegari
Farmacia Piegari SNC